giovedì 11 aprile 2013

How are you?


La cosa peggiore che ti può capitare in una mattina come queste è l’omino dell’UPS che suona il campanello.

DRRRIIIN
Merda.
E’ lui.

Oh no!!!

Ma non può lasciare il pacco davanti alla porta? No. Ha bisogno della firma.
Non posso firmare dalla finestra? Mmmm. No.
Il problema è che la mia uniforme del giorno è la seguente: pigiama lillino, calze di lana grossa, e occhiaie che ai bei tempi erano nere, adesso sono diventate rosse. Scioperano. Sono infuriate, infuocate. Non vogliono più andarsene, è da tempo ormai che reclamano contratti di sonno più equi, invocando “sonno, sonno, nanne, nanne”. E finche’ non ottengono quello che vogliono, stanno lì, e grazie a loro sembra che qualcuno mi abbia preso a pugni.
In questo stato, l’ultima cosa che vorresti è farti vedere da un essere umano. DRRRIIIN!

Noooo.

Per di più, l’omino dell‘UPS non cambia mai. E’ sempre lo stesso. Non hai neanche la scusa di dire: va be’ tanto questo non mi rivede più… no! E’ come se l’UPS volesse creare un rapporto di fedeltà al cliente mandandoti lo stesso omino. Grazie. Io apprezzo la fedeltà cara UPS ma in questo caso anche no.
Suona il campanello di nuovo e la mia speranza diventa trovare un cappello o una maschera in giro. Non so … un topolino, un Topo Gigio, anche Spiderman mi va bene. Ma trovo solo due costumi di halloween: papero più calzamaglia a righe taglia 12 mesi. Batman taglia 18 mesi. Niente. Decido di andare fuori con la maschera di Frankenstein che mi ritrovo stamattina. Speriamo non si spaventi.
Esco, vado alla porta, con meno 17 gradi fuori, col neonato bombolone in braccio.
E lui intento a scarabocchiare, alza la testa ed esclama:
- Good morning! (Vuol dire Buon Giorno)

Good?
Good a chi?
Sorrido. Il sorriso è sempre la mia ancora di salvezza quando non ho parole.
- Good morning to you! Gli rispondo con il classico tono ottimista americano anche se il tuo cervello fatica a ricordare in quel momento cosa sia l’ottimismo.
- How are you doing today?

No dico. Mi prendi in giro. Come sto? Non lo vedi? Ti sembra che io stia bene? Gargamella era più presentabile.

Al che sfodero il classico falsismo americano (lo so che non esiste falsismo, caro correttore automatico, l’ho inventato io perché falsità secondo me non rende bene l’idea) e rispondo al mio omino dell’UPS:
- good. (bene).

Bene?
Non dormo una cippa, ho le energie di una formica in fasce, il trucco copri-occhiaie non funziona più e minaccia di unirsi allo sciopero, non ho l’ombra di un nonno che mi aiuta e io rispondo: bene.
Scusate ma se non è falsismo questo…

E poi siccome sono altruista, o forse non voglio pensare alla mia situazione ricordandomi del mio pigiama lillino con roselline bianche sulle tasche, chiedo all’omino mio amico. Good. How are you?

E lui mi risponde: good, thanks.
BIIIIIP farebbe la sirena della ruota della fortuna quando sbagli e non becchi le vocali. Bene anche tu? Non ci credo. Fa meno 17, consegni pacchi, sei sempre vestito di marrone castagna, è impossibile strapparti mezzo sorriso e mi dici che stai bene? Beviamo un caffè e ne parliamo. Anzi, il caffè te lo bevi tu perché io devo tenermi aperte mille possibilità per tornare a dormire o addormentarmi dove posso e non vorrei che il caffè me ne facesse saltare non dico una, ma mezza.

Ma oramai ci ho fatto l’abitudine. Tendenzialmente, l’how are you è una domanda che viene fatta per cortesia dopo il saluto. E’ diventata una domanda un po’ scontata nei dialoghi di tutti i giorni. Tanto che a volte non è più una domanda vera. Ma viene buttata lì come per dire: io te lo chiedo ma in realtà non è che mi interessi molto. Me l’ha detto la mamma.

La prima volta che l’ho capito è quando dopo l’arrivo negli Stati Uniti, io perlustravo i vari negozi vicino a casa e un giorno, mentre mi aggiravo fra gli scaffali, si avvicina una commessa e mi dice: Hello! How are you?
E io, stupita e grata per questa domanda (non conoscevo nessuno ancora e l’unico che vedevo era mio marito la sera), mi sono lanciata in una serie di racconti tutta contenta di aver trovato qualcuno di gentile che volesse sapere come stavo. Un monologo praticamente. “Mah bene, sono appena arrivata, abito qui vicino sulla Michigan, sono Italiana, mi sono trasferita qui una settimana fa, vengo da una famiglia numerosa, ha in mente Busto Arsizio? Ecco no, fra Milano e Varese, vicino ai laghi…” Quando mi accorgo, più o meno alle seconda frase, che questa aveva preso in mano un maglione, l’aveva risistemato, riposto sullo scaffale e quando io mi stavo dilungando sul nome dei laghi, questa si era girata e se n’era andata. La mia reazione è stata: ma scusa? Non mi avevi chiesto come stavo?
Sì Giulia. Ma in realtà, lo dicono a tutti quelli che entrano nel negozio per essere gentili, non per sapere effettivamente come stai. Va be’ dai non piangete su, la storia finisce bene.

Allora quatta quatta mi sono messa a studiare cosa dice la gente quando in giro qualcuno gli chiede: hey, how are you? Oppure, hey, how are you doing? Che è la forma meno formale per chiedere come stai. Un po’ come dire: come va?

E le risposte sono:
good, thanks.
Good, and you?
Good, how about yourself?

Insomma l’importante è che dici sempre good, bene, cioè qui stan tutti bene. I Padri pellegrini avevano visto lungo…

Quando ho fatto il corso di interprete medico, mi è capitato di andare in alcuni ospedali e aiutare a tradurre dialoghi fra pazienti italiani che non sanno l’inglese e medici americani che devo comunicare con loro. Un giorno affiancavo un interprete italiano, di nome Nino, che avrà avuto 60 anni, simpaticissimo. E questo girava per l’ospedale chiedendo a tutti: ue come stai? Ciao! Come va? Ad un certo punto, me lo ricorderò sempre, Nino va da un signore americano seduto su una panchina con una gamba fasciata e gli chiede: how are you? E il paziente: good. E Nino gli dice: ma se stai bene allora perché sei in ospedale?
Mi ricordo ancora la faccia che ha fatto questo qui. Allibito. Poi stava per rispondergli, ci ha pensato un attimo e si è messo a ridere. E Nino mi dice: americani…

Comunque sottolineo una cosa. Questo succede nelle interazioni di tutti i giorni con l’autista del bus, la commessa, il vicino, la mamma dell’asilo etc. Tendenzialmente sconosciuti. Ovvio, io non mi metto mica a raccontare al postino che vedo una volta al mese tutta la mia vita. Mica vivo a Caserta.

C’è da dire che questo modo di fare, anche se è superficiale, in realtà da’ la grande e piacevole sensazione di essere in un paese civile. Dove la gente si saluta e si rispetta. E quando vivi in un paese così dove tutti con te sono gentili, viene automatico essere gentile anche te. Dai perché ti è dato. Una cosa così. Per questo noi italiani abbiamo sempre l’impressione che in America sono tutti gentili. Eh certo! E’ così!
E’ che noi italiani siamo dei buzziconi. Noi parliamo male anche della gente che non conosciamo. Anche quelli che vediamo per strada e siamo convinti marci che tanto quello lì o quella lì non se ne accorge. Sì sì certo. Noi iniziamo la frase dicendo: “SENZA FARTI VEDERE, guarda quello lì che ha il pantalone incastrato nel calzino”.
Se la cassiera ti chiede come stai, l’italiano medio pensa: ma chi è? Ma cosa vuole? Ma chi la conosce?
Noi siamo abituati a pensare male, anche ai gesti più spontanei senza tornaconto. Se sul tram uno sconosciuto ti dice: “salve, come va?” Tu pensi subito: questo mi vuole rubare il portafoglio. Sicuro.

Qui negli Stati Uniti tutti ti chiedono come stai, come va, tutto bene. Diventa tutto una buona occasione per fare due chiacchiere. Sapete quanti dialoghi vedo (e che ascolto con grandissimo piacere perché sono spunto per i miei articoli) che vanno avanti per una buona decina di minuti solo perché partono con how are you?

Quando si è con gli amici, ovvio, gli americani si sbilanciano un po’ di più. Oppure come stamattina con la mia dottoressa per la visita annuale.
UEEEEE DOCTOR!!! HOW ARE YOU???
E lei: Hey!!! Giuliaaa!!! Sooo nice to see you!!! How are you?
Al che baci, abbracci, come amiche di vecchia data. Con la mia ginecologa. Ecco. Io non so se succede così perché io sono così, o se succede sempre con lei perché ti aiuta a far venire al mondo le creature, o perché sono gli americani che sono così calorosi e festaioli nel salutarti. Sta di fatto che è molto facile diventare amici. E’ molto difficile rimanere amici e andare un po’ più in là. Gia'. Perché ognuno ha il suo spazio qui. Ognuno ha il suo business.

Come quella mia amica americana, che non l’ho mai vista sorridere una volta. Si, forse una volta sì dai. E ogni volta che la vedo, le chiedo come sta e lei: I’m ok.

Ecco, l’ok, l’americano lo dice per dire: sto così così, non sto benissimo ma non sto neanche male. Oppure: ho qualcosa, non sto benissimo, ma non ho voglia di dirtelo quindi: I’m ok.
Un giorno gliel’ho detto. Le ho detto: senti, ma tu non mi sembri felice.
E lei mi risponde: no, perché mi dici cosi?

E io: ma boh c’hai sempre sta faccia… (non gliel’ho detto proprio così ma il concetto era quello). Non sorridi mai.

E lei mi risponde: no no. I’m ok.


Ecco. Come non detto. Stai lì con il tuo ok e arrangiati.


Io se chiedo come stai, è perché ci tengo e lo voglio sapere. E se mi dici palle, io me ne accorgo. Se tentenni, se ci metti un secondo in più a rispondere, se guardi a sinistra in basso, sono tutti segni che mi fanno capire che qualcosa non va. A me non sfugge niente. Non mi sfugge neanche che è mezzanotte e domani non sarò un bijiu’! E non posso neanche rispondere all’omino dell’UPS: I am good. Dai però domani ci provo e gli racconto la mia vita. Che pacco…

See ya!

12 commenti:

  1. ecco cosa voleva dire....http://www.youtube.com/watch?v=6NXnxTNIWkc

    Ti propongo di fare tue queste parole con il postino...

    And so I wake in the morning
    And I step outside
    And I take a deep breath and I get real high
    And I scream from the top of my lungs
    What's going on?

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  2. AAAAH ce l'aveva con l'omino dell'UPS!!!! Ma non poteva dirlo prima?

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  3. ero in un negozio, un grande negozio, a cercare una camicia. Alla terza commessa che mi ha chiesto "Hi! How are you today?" ho risposto "Bad, really bad".
    Sparita a gambe levate.

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    1. Ahahaha Max mi sembra di immaginare la scena: baaaaad, reall baaad. Anche io sarei scappata!!!! Grazie!!!

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  4. Ciao Giulia,
    Ho scoperto il tuo blog da poco e l'ho già salvato nei preferiti... Passo 3 mesi all'anno negli Stati Uniti e ogni tuo post mi fai morire dal ridere perchè è tutto vero ciò che dici! Dovresti scrivere un post a parte sul concetto di amicizia perchè io devo ancora capirlo.. Tutti quelli che conosco che vivono li mi dicono le tue stesse parole:
    "... che è molto facile diventare amici. E’ molto difficile rimanere amici e andare un po’ più in là. Gia'. Perché ognuno ha il suo spazio qui. Ognuno ha il suo business." A me non sembra ma sicuramente è perchè negli USA sono sempre di passaggio :)

    Ciao

    Sara

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    1. Cara Sara, ti ringrazio tantissimo! Nei preferiti! Wow!! Per me l'esperienza di questo blog e' tutta così inaspettata e nuova! Beh sono contenta che tu hai un'esperienza diversa!!! Non devo avere sempre ragione io!! ;) Infatti ho degli amici americani che dimostrano il contrario ma ci vuole taaaaaanta pazienza! Ciao! Alla prossima!!!

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  5. Brava, come sempre la mia Giulietta!!! L'Amicizia italiana è qualcosa di sconosciuto negli USA...

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    1. Grazie Marzia!!!! Allora quando torni un bel pranzetto assieme? Giuro che stavolta mi ricorderò di portare il latte del Pietro....

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  6. Stu-pen-do! Questa è una delle prime cose che ho notato quando sono stata a NYC per la prima volta.

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  7. Cito testualmente:"E' che noi italiani siamo buzziconi." Sante parole. Io non ho esperienze negli USA, ma sono stato spesso in Francia, sulla Costa Azzurra, e ti assicuro che i pur tanto da noi disprezzati francesi si comportano quasi allo stesso modo. ça va? Come va? usato come approccio, oppure quando devono chiedere qualcosa, sempre col "s'il vous plait" finale. Per non parlare dei saluti: Bonjour Madame (sempre per prime le donne), Bonjour Monsieur, oppure semplicemente Madames et Messieurs quando ci si accomiata da entrambi. Che differenza col nostro "Salve" detto magari con una piccola alzata di testa.
    Un abbraccio,
    Zio Renato.

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  8. Eh zio, hai ragione!
    Sembra che a noi italiani dia quasi fastidio "l'altro" davanti a noi.
    Eppure secondo me noi italiani abbiamo tanto da dare.
    Io, adesso che ho preso l'abitudine qui di salutare tutti, quando vengo in Italia faccio lo stesso. Mi viene spontaneo. Anzi, potrei salutare alla francese!! Ca va??
    Ciao!!!

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