Mio marito ha
dormito un’ora e mezza. Un’ora e mezza. Come una pausa pranzo.
Io invece ho
dormito un filo di più.
Quello di pochi
mesi sì voleva mangiare ma quello di due anni continuava a svegliarsi. Io ho
fatto la pendolare da camera nostra a camera dei bimbi 8 volte dalle 2 alle
3.30.
Siccome durante la notte il mio cervello rimane in modalità spento-off-muto-non osare svegliarlo se no vedi- non avevo molto bene capito cosa stava succedendo. Sapevo solo che all’ottava spola ho iniziato a sentirmi le gambe che mi facevano male come se fossi andata in gita al monte Pasubio partendo da Cascina Faustina (non sapete dov’è Cascina Faustina? No? Neanche io…). Al che inizio a supplicare l’altra sentinella che fa i turni con me: ti prego vai tu, io non ce la faccio più. Frase poco pronunciata in questa casa…
Siccome durante la notte il mio cervello rimane in modalità spento-off-muto-non osare svegliarlo se no vedi- non avevo molto bene capito cosa stava succedendo. Sapevo solo che all’ottava spola ho iniziato a sentirmi le gambe che mi facevano male come se fossi andata in gita al monte Pasubio partendo da Cascina Faustina (non sapete dov’è Cascina Faustina? No? Neanche io…). Al che inizio a supplicare l’altra sentinella che fa i turni con me: ti prego vai tu, io non ce la faccio più. Frase poco pronunciata in questa casa…
E così mio marito
si alza e dice che ci pensa lui. Meno male… Io nel frattempo svengo sul letto assalita
da un sonno atavico non curante del fatto che poi l’altra povera sentinella ha
fatto il turno dalle 3.30 alle 7 del mattino andando così fresco freschissimo a
lavorare.
Il giorno dopo quando rimembro le mie avventure titaniche della notte (le mie chiaro… non quelle di mio marito), mio marito mi dice: ma scusa, non ti è sembrato strano che Tommaso si svegliasse così tanto?
Il giorno dopo quando rimembro le mie avventure titaniche della notte (le mie chiaro… non quelle di mio marito), mio marito mi dice: ma scusa, non ti è sembrato strano che Tommaso si svegliasse così tanto?
No.
Non hai pensato
che magari avesse qualcosa?
Ehm… no.
Beh Giulia non ti
sei chiesta come mai eri già stata lì otto volte?
Si. Mi sono
chiesta cos’ho fatto di male nella vita.
Ma no dai era
chiaro… aveva mal di denti.
Mal di denti????
Mal di denti????
In effetti è
così. Dopo le coliche dei neonati sembra che la più grande maledizione che
possa colpire la tua esistenza sia lo spuntare dei denti dei tuoi figli. Adesso
è il turno dei molari di Tommaso. Chissà perché poi tutte ste robe succedono sempre
di notte. Di notte tutto peggiora. Me lo ha confermato anche un mio amico che
lavora in ospedale. Di giorno invece, con la luce, tutto si trasforma.
L’attività del
mio cervello, anche lei di notte non fa faville. Mio marito invece ragiona alla
grande. Mi chiedo se quando l’hanno assunto sapevano già che lui sa ragionare
perfettamente anche di notte.
Di sicuro lui fa
parte del grande esodo della fuga dei cervelli. Quel fenomeno per cui alcuni
cervelli italiani emigrano all’estero data la loro alta specializzazione e
trovano impieghi più remunerativi e appaganti.
Il mio cervello
anche lui è in fuga.
Con ogni
gravidanza se la da’ proprio a gambe.
Mio marito mi dice di non essere così dura con me stessa. Che non è vero. Infatti ha appena raccontato ai bimbi che la mamma ha lasciato un bellissimo lavoro in Italia dove le avevano offerto un contratto a tempo indeterminato. Eh sì. Io lavoravo di già quando mio marito stava finendo gli studi di ingegneria. E a me avevano offerto l’indeterminato dicendo che erano contentissimi di me. Che gioia! Già… La storia va avanti così: “Peccato che dopo una settimana la mamma è dovuta tornare dal direttore della divisione con il quale aveva stappato una bottiglia di champagne nella sua mente, a dire, un po’ a passi incerti mentre si avvicinava alla porta di vetro sull’ufficio che dava su Piazza San Fedele a Milano (dietro la Scala), che ringraziava la prestigiosa offerta ma al suo futuro marito avevano offerto un lavoro in America. E che lei l’avrebbe seguito. Il direttore della divisione, un genio nel suo mestiere, l’aveva rassicurata”. Quei passi incerti pieni di domande (ma che cacchio sto facendo? Son sicura di voler mollare questo contatto a tempo indeterminato? Ma son matta?) sono diventati, dopo pochi mesi, passi certi su un tappeto bianco che portava all’altare.
Mio marito mi dice di non essere così dura con me stessa. Che non è vero. Infatti ha appena raccontato ai bimbi che la mamma ha lasciato un bellissimo lavoro in Italia dove le avevano offerto un contratto a tempo indeterminato. Eh sì. Io lavoravo di già quando mio marito stava finendo gli studi di ingegneria. E a me avevano offerto l’indeterminato dicendo che erano contentissimi di me. Che gioia! Già… La storia va avanti così: “Peccato che dopo una settimana la mamma è dovuta tornare dal direttore della divisione con il quale aveva stappato una bottiglia di champagne nella sua mente, a dire, un po’ a passi incerti mentre si avvicinava alla porta di vetro sull’ufficio che dava su Piazza San Fedele a Milano (dietro la Scala), che ringraziava la prestigiosa offerta ma al suo futuro marito avevano offerto un lavoro in America. E che lei l’avrebbe seguito. Il direttore della divisione, un genio nel suo mestiere, l’aveva rassicurata”. Quei passi incerti pieni di domande (ma che cacchio sto facendo? Son sicura di voler mollare questo contatto a tempo indeterminato? Ma son matta?) sono diventati, dopo pochi mesi, passi certi su un tappeto bianco che portava all’altare.
Eeeeeeeh sì!
Ma i miei figli a
quel punto della storia erano già ai loro posti: uno lanciava trenini contro la
spazzatura e l’altro rigurgitava. Eh l’amore…
La categoria più
colpita dalla fuga dei cervelli, dopo quella delle casalinghe (provate voi a
stare dietro ai figli educandoli alla buona civiltà con poche ore di sonno alle
spalle quando non sei esattamente l’incarnazione della bontà) è la ricerca. Un
sacco ma dico un sacco pieno, non sacco mezzo, di scienziati, ricercatori,
fisici, studenti, dottorandi lasciano il nostro bel paese per venire in America
dove trovano borse di studio più alte, stipendi e prospettive di ricerca molto
più interessanti con molte più probabilità di inserimento professionale. Adesso
però molti stanno andando anche in Brasile e in Cina. Anche se mi sembra
difficile da credere… i cinesi… ragazzi stiamo parlando dei cinesi, quelli che vendono
“tutto a un dollaro” e non sanno dire la erre. Una sera ho tirato scemo un
cinese a cena perché lo costringevo a dire la erre. Gli ho detto che non era
possibile che loro non sano dire la erre, dai! Allora mi sono impuntata che
quel povero cinese che mi era capitato sotto tiro doveva imparare. Perché
secondo me è una pigrizia loro. Non è che l’uomo nasce che non sa fare certi
suoni. Abbiamo tutti un palato, una lingua, l’ugola e ci passa pure l’aria. A
tutti passa l’aria da lì.
E allora ho
iniziato: dai su! Prova a dire: ramarrrrro.
Lamalllllo.
E io: ma no dai. Prova ancora: Ramarrrro.
E io: ma no dai. Prova ancora: Ramarrrro.
Lamalllllo.
Spazientita gli
ho risposto: Tu lo fai apposta.
Un cervello
invece degno di essere nominato, noto di fama mondiale che dall’Italia è stato
preso in prestito dall’America, è il nostro pluri-amato-stimato-premiato
Riccardo Muti.
Guarda caso anche
lui è venuto qui a Chicago. Ovviamente è venuto per seguirmi ma la stampa non
lo vuole ammettere.
Una delle
avventure più assurde che mi è capitata stando qui è la seguente:
Gennaio
2009. Vado a prendere una mia amica all’aeroporto di Chicago. Mentre sono lì
agli arrivi, vedo arrivare uno e mi dico: questo qui lo conosco, l'ho già
visto, ma chi è?
Dovete
sapere che io non riconosco mai, ma dico MAI i personaggi famosi in giro. La
mia amica Chiara sa riconoscere deejay (nessuno sa che faccia ha un dj tranne
Albertino), tizi del grande fratello delle ultime 7 edizioni, cantanti di cui
non si è mai vista la faccia etc.
Io,
invece, so solo che faccia ha Napolitano, Valerio Staffelli e la Vanna Marchi.
Ad un
certo punto ho un flash! Ah sì è lui! E’ RICCARDO MUTI!
Al che,
inizio ad agitarmi... cosa faccio? Cosa faccio? Vado lì? Ma cosa gli dico?
Ok. Ok. Calma.
Vai. Vai. Non ti ricapita più.
E il mio
cervello continua a incalzare: Sì ma cosa gli dici?!??!?
Ma le mie
gambe si muovevano da sole nella sua direzione.
Ora, con
che appellativo mi dirigo a lui? Professore, Direttore, Dottore, Maestro... e
vada per maestro!
Mi
avvicino e mi accorgo della moglie, una donnona alta con un montone bianco, la
borsa della Louis Vuitton e l'iPhone in mano quando ancora ce l’avevano in
pochissimi. Qui non si scherza.
Noto
invece che Riccardo, oramai lo chiamo così, siamo amici, ha la faccia
stanchissima.
Mi
avvicino piano piano, e gli dico:
MAESTRO!
BUONASERA!
Lui mi
guarda un po' stranito. Al che parto col mio monologo!
PIACERE,
gli stringo la mano, SONO GIULIA, SONO ITALIANA E VIVO QUI A CHICAGO.
Il maestro
sorride.
E io vado
avanti: BENVENUTO A CHICAGO!
Cervello
mio, ti prego, dimmi qualcosa, qualcosa da dire, basta che sia sensato. In quel
momento il mio angelo custode passa un bigliettino al mio cervello che lo passa
alla mia bocca e dico: HO SAPUTO CHE E' QUI PER DIRIGERE L'ORCHESTRA DI
CHICAGO. La Chicago Symphony Orchestra.
E lui: eh
si!
(Fiu…
grazie angioletto mio!)
E io: BEH,
SPERO DI VENIRLA A SENTIRE QUALCHE VOLTA!!!
E Riccardo
si mette a ridere e poi mi da una carezza.
AAAAAAAAAAAAAAA!
Mi sono
commossa da un gesto così affettuoso e tenero da una persona così importante!!!!!!
Mentre lo
guardavo andarsene mi era venuto in mente che potevo invitarlo a cena. Chissà
magari sarebbe venuto! Noi italiani non diciamo mai di no ad un piatto di
spaghetti.
Poi ho
scoperto che avevamo un’altra cosa in comune. In un'intervista al corriere
aveva detto che lui vedeva il lago dal suo 44esimo piano...
Io a quei
tempi abitavo al 43esimo piano di un palazzo. E anche io vedevo il lago. Peccato
che non c’erano altri piani sopra di me. Il nostro era l’ultimo piano del
grattacielo.
Da allora
avevo iniziato a cercare dove stava, così giusto per andare a trovarlo.
Mia mamma,
dopo che gli avevo raccontato tutto questo mi dice:
“Sì, ma,
non so come siete rimasti d’accordo tu e lui”.
Mah non so…
eravamo rimasti d’accordo che andavo a sentirlo alla Chicago Symphony
Orchestra… ma non penso mi abbia cercato tra la folla.
Ad ogni modo,
sapere che una persona di tale calibro e talento, è italiana ed è qui a Chicago
a dirigere l’orchestra mi fa sentire un po’ orgogliosa del mio essere italiana.
E mi fa sentire anche un po’ a casa. Sì perché se voglio andare a sentirlo
posso dire: vado a sentire Muti. Un po’ come se andassi alla Scala, sedermi
sulle poltroncine rosse e dire: ue americanetti dei miei hamburger, quello lì
che dirige è italiano. Come me.
E allora lo senti
un po’ come un tuo amico. Uno che puoi
invitare a cena e dire: Riccardo, allora, quand’è che facciamo rientrare tutti
sti cervelli in Italia? Compreso il tuo ovviamente! E il mio … prima che fugga
definitivamente!
See ya!
io che sono in Svizzera sono considerato cervello in fuga?
RispondiEliminaOh yes!!!! Considerati tale! Basta che il cuore torni a casa la sera!!!
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